05 ottobre 2009

Siamo tutti Sorelle e Fratelli di Serendipity

Questo blog si occupa essenzialmente di educazione nel nostro mondo tecnologico.
Al centro di tutto rimaniamo comunque noi esseri umani, con la nostra forza e con la nostra fragilità.
Così non c’è tecnica che tenga, al cospetto del cuore.

Ho perciò deciso di condividere con i miei tre lettori tutta la profondità delle emozioni di un post che è stato recentemente scelto come “Miglior Post del 2009” (Macchianera Blog Awards 2009).
Non sono riuscito a sapere nulla dell’Autrice che si cela dietro allo pseudonimo di [serendipity].

Ho imparato che “serendipity” è l’attitudine a trovare e riconoscere, in modo sorprendentemente felice ed improvviso, qualcosa di inatteso ed importante che nulla ha a che vedere con quanto si andava cercando e che ci si proponeva di trovare.

Nulla di più appropriato!
Nella voragine di una confidenza suprema d’amore e di morte, ho potuto scoprire la luce del senso della vita e trovare qualche cenno di risposta alle eterne strazianti domande di sempre.

Il post originale si intitola:
19 marzo, la festa di mio papa’. Un post che nessuno leggerà fino in fondo. Peccato
In effetti è un post che difficilmente si riesce a leggere fino in fondo.
Te ne accorgi quando leggi parole che ti rendono difficile respirare senza che il petto sussulti. Poi gli occhi cominciano a bagnarsi e diventa difficile proseguire perché la lettura diventa decisamente troppo liquida.

Arrivare in fondo è una sfida perché “lì dentro ci sei tu” … e te ne accorgi dai sintomi insopprimibili della commozione più incontrollabile.

Io non sono ancora riuscito a leggere interamente il post di “serendipity”.
Non sono ancora pronto per sopportarlo tutto insieme.
Debbo prenderlo a piccole dosi, un po’ per volta, proprio come suggerisce il blog collettivo su cui è comparso: CLORIDRATO DI SVILUPPINA.

Intanto… GRAZIE, serendipity.
Sei riuscita a dare parole e coscienza a chi si è trovato fratello e sorella con te.
Grazie anche a tutti quelli che hanno commentato questo post.
Stringerci insieme per capire il senso della morte ci aiuta tutti a crescere nella fiducia della vita.

Infine…
… se hai resistito fino a qui.
Se hai il cuore forte, tempo e fazzoletti a portata di mano…

Eccoti il posto originale di “serendipity”.

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19 marzo, la festa di mio papa
Un post che nessuno leggerà fino in fondo. Peccato

Eccoci qua. Esattamente un anno fa morivi, papà.
Oggi ho rivissuto tutto quel giorno. La mamma che mi chiama e mi dice che non ti muovi più, Simone che corre a casa, io che imbocco l’autostrada sperando che non sia vero. Le due ore di macchina peggiori della mia vita. Poi arrivo in ospedale e un infermiere lascia aperta la porta della sala emergenza. Io ti vedo urlare, con i medici che si accaniscono su di te facendoti soffrire. Mi faccio coraggio e ti urlo “Papà, papà… sono qui! Non ti preoccupare papà, andrà tutto bene!”. Un medico alza la testa e mi guarda. Capisce che non c’è bisogno di sgridarmi. Lo sa che non avrò grandi occasioni per dirti altro. Tu ti calmi. L’hai sentita la mia voce. Il medico mi guarda come per dire “è tranquillo adesso” e chiude la porta. 5 minuti dopo ti portavano in rianimazione. La mamma si è attaccata alla barella disperata. Io l’ho strattonata e l’ho cacciata via, con odio. Perché tu eri mio e volevo starti vicino io. Scusa, è stato un gesto bruttissimo. Però te l’ho sentito dire. Ti ho sentito dire “Ile… Ile…”. Sono state le ultime parole che hai detto. Le tue ultime parole sono stata io. Mi dispiace per la mamma, ma a me aiuta molto ripensarci.

Alle 8 di sera la telefonata. Ero in casa, sul divano. Ero preparata. Ho riattaccato e ho portato la mamma all’ospedale. Eravamo sole come due cani. Quando ti ho visto, mi sei sembrato così lontano. Tutto fasciato come una mummia. Non sapevo che dopo la rianimazione fasciassero così. E’ bruttissimo. Non hai neanche un corpo da abbracciare, niente. Meno male che ti ho abbracciato al pomeriggio. Eri caldissimo, scottavi. Mi hanno detto che avevi oltre 42 di febbre. Non parlavi più. Non hai potuto dirmi niente. Io invece ti ho detto tutto, compreso che eri l’uomo della mia vita e che ti amavo tantissimo. L’infermiera continuava a dirmi di parlare perché tu sentivi. Hai sentito papà? Dimmi di sì, perché ti ho detto veramente tutto in quei minuti. C’era anche il mio naso rosso appeso al muro della rianimazione. L’avevano tenuto perché speravo ti portasse fortuna. Te ne ha portata, papà? C’è qualcosa che può portare fortuna mentre si muore?

Questo anno è stato uno schifo. Ok, non si dice schifo. Questo anno è stato duro. Chi mi rincontra dopo un po’ di tempo mi guarda e mi dice “come sei… signora!”. Credo che vogliano dire che sono invecchiata. In effetti in questo anno mi sembra che me ne siano piovuti addosso 10. Me li sento tutti sulle spalle. La mamma da tirare su, la depressione, la difficoltà di alzarsi tutte le mattine col dolore. Però la mamma è bravissima, si fa forza più di me. Io i primi tempi ero arrabbiata, furiosa. E mi succedeva che odiavo le mie amiche che hanno il papà. Non è giusto, lo so, ma non potevo farne a meno. A me sembra cattivo che le altre abbiano il papà e io no. Non dovevi morire tu. Ci sono tanti stronzi al mondo, perché non loro? Sì ok, non si augura la morte a nessuno. E non si dice stronzo. Però che le altre avessero un padre a me non stava bene. Adesso questa cosa l’ho superata, ma ogni tanto torna su. Sono anche diventata ansiosa. Ho paura di perdere le persone che amo e sono apprensiva con la mamma. No… non è lei apprensiva con me. E’ il contrario. E’ che ho paura di perdere anche lei, ho paura che si ammali e muoia come hai fatto te. E allora le sto sempre addosso. Pensa: andiamo d’accordo. Giuro! No, non sto dicendo una balla tanto per farti stare tranquillo: io e la mamma non litighiamo più. Oddio, ogni tanto succede perché esagera, però mi sono messa d’impegno e sopporto. Anche lei sopporta me ma io sono meno pesante. Comunque insomma, adesso vedo malattie un po’ dappertutto. E riverso le mie paure sulla mamma, su Simone e su me stessa. Spero che passerà, ma non credo che ci vorrà poco tempo.

Al lavoro tutto bene. Papà, sono stata bravissima: non mi sono mai fatta compatire. Non sono mai scoppiata a piangere, non ho fatto scene, non mi sono dimostrata triste. Solo una volta sono scoppiata ma Ludovico mi ha fatto ridere subito e mi è passata. Comunque mi ha visto solo lui. Anche al funerale non ho fatto scene: sapevo che tu odi vedermi piangere e mi sono trattenuta. Solo che mi danno fastidio le persone che vengono ai funerali e ti piangono in faccia. Ma cazzo, già tu sei triste e poi uno ti piange davanti? Ma trattieniti cazzo, sennò io come faccio? Sì ok, ho detto due volte cazzo. Tre con questa. Però anche tu tiravi un sacco di bestemmie, eh. Ah, ho iniziato a bestemmiare anch’io. No, non in mezzo alla gente. Solo in casa. Quando proprio non ne posso più, ne tiro una. Mi fa stare d’un bene… ok, prometto: d’ora in avanti ne dirò poche. No, che non ne dirò neanche una non posso promettertelo. Tra l’altro dopo che sei morto sono entrata ancora più in crisi con dio. Perché se non esiste, come penso, vuol dire che non esisti neanche tu. Che non sei un angelo, uno spirito, una presenza, niente. Se dio non c’è, tu sei finito quel giorno nella rianimazione dell’ospedale. Se invece dio c’è, tu sei qualcosa e io dovrei sentirti. Ma papà… non so come dirtelo… io non ti sento. Quindi o tu non sei bravo a dare segni o ritorniamo al punto che dio non c’è. Non so, hai idee a riguardo? In ogni caso, se ci sei, fatti sentire meglio perché spesso ho bisogno di te e dico “se ci fosse papà…”. Comunque, per tranquillizzarti, ti dirò che: quando affetto il salame sto attenta a non tagliarmi le dita; che uso i cacciaviti a stella quando ci vogliono i cacciaviti a stella; che ho aggiustato la cassetta del water alla mamma, ho siliconato le piastrelle della cucina e sterminato degli scarafaggi. Quando riparo qualcosa, però, il solo rovistare nei tuoi attrezzi mi fa stare da cane. Poi penso che tu saresti stato orgogliosissimo di vedermi fare il manovale e allora mi passa subito.

Ho pagato il muratore del tetto. Non so quanto avevate concordato di prezzo, mi sono fidata di lui. Se mi ha imbrogliato, spero che gli venga qualcosa di brutto. Uffa, lo so che non si augura il male, l’hai già detto. A Natale ho regalato a tutti delle bottiglie di vino col tuo nome sopra: il vino Rizieri. Volevo che brindassero tutti alla tua salute. Fa ridere, no? Brindare alla salute di un morto che è morto di mieloma? Ok, scusa, non si scherza su queste cose. Scusa. Ho detto scusaaaaaaa.

E che altro? Ce ne sarebbero di cose da dire ma le principali te le ho dette. Sai, il giorno dopo che sei morto, alla camera ardente, stavo proprio male. E non c’è stato uno straccio di nessuno che abbia saputo comportarsi. Solo Simone. A un certo momento mi ha preso di forza e mi trascinato fuori, al sole. C’era il sole quel giorno lì. E insomma, mi ha tenuto le mani e mi ha detto che te ne eri andato perché eri a posto. Perché sentivi che nella tua vita avevi fatto tutto e assicurato il futuro a tutti. Che sapevi che io me la sarei cavata. Subito ho pensato che aveva ragione e mi sono sentita meglio. E ho pensato che di tutte le persone che mi erano passate davanti, lui è stato l’unico a capirmi davvero. E quindi, insomma, ho sposato davvero una gran persona. Poi però ho pensato che se anche rimanevi ancora un po’ a fare delle cose, a me non dispiaceva affatto. Non so se ti ho dato l’impressione di essere in gamba e autosufficiente, ma io ho ancora un bisogno di te… ma non è vero papà che adesso ho mio marito. Tu hai ancora questa idea maschilista del cazzo che se una si sposa poi deve pensare solo a suo marito. Ok, basta dire cazzo. Papà… se una si sposa a suo padre gli vuole ancora bene. Forse anche di più, perché capisce molte cose. Io e te non ci siamo mai detti “ti voglio bene”. Ci ho pensato. Non ce lo siamo mai detti. Ma ci amavamo tantissimo. Il giorno che mi sono sposata non mi hai neanche detto che ero bella. Eppure la mamma mi ha raccontato che hai pianto tutto il tempo della cerimonia. Ah-ha! Scoperto! Tu non hai pianto neanche quando è morto il nonno, mai avrei detto che avresti pianto di gioia. Ti ho visto piangere solo quando stavi male perché capivi che stavi per andartene. Tra l’altro volevo chiederti una cosa. Qualche giorno dopo che sei morto ho visto la Luciana al cimitero. La Luciana la tua amica. Mi ha detto che la sera prima di morire, a mezzanotte, l’hai chiamata e le hai detto “non sto bene… ciao”. E hai messo giù. Ma papà… perché non hai chiamato me? Perché se lo sapevi non hai chiamato me? Sarei tornata a casa e ti sarei stata vicina. Perché papà? Non volevi che venissi a casa di notte? Volevi fare il papà fino alla fine, eh? Grazie. Però.. vabbeh, scelta tua. Allora grazie, ho capito.

A me dispiace se non ho fatto tutto il possibile per salvarti. Per tanto tempo mi sono chiesta se ho sbagliato qualcosa. I primi tempi avevo paura di aver sbagliato qualche medicina e di averti fatto morire io. Poi mi sono detta “ma dai, con tutti i dottori che ha visto, non può essere stata colpa mia!”. Eppure, quando torno a casa in macchina in silenzio o quando spengo la luce prima di dormire, penso che sia stata colpa mia. Penso di aver sbagliato qualcosa e di averti ucciso. Papà, ti scongiuro, dimmi di no. Oddio, spero di non averti ucciso. Lo spero. Oddio.

Papà, provo ad andare avanti. Quando vedo un muratore che fa qualcosa, mi fermo a guardare. E penso a cosa avresti detto tu. Quasi sicuramente avresti detto che non capisce niente. E che non sapeva fare il suo mestiere. Pensa che ho sempre creduto che tu il muratore l’avessi fatto per necessità. E poi quel giorno che ti ho portato a fare le flebo mi hai detto che l’avevi scelto. Perché volevi stare all’aria aperta. Che un lavoro chiuso in una stanza ti faceva diventare matto. Mi sono sentita orgogliosa come poche. Mio padre ha scelto di fare il muratore. Mi sembra una cosa bellissima. Come quella cosa che dicevi… che andavi alla domenica a vedere i cantieri per essere sicuro che al lunedì si cominciasse bene. E che questo alla mamma non l’hai mai detto. Mi piacciono i segreti, quelli miei e tuoi. E mi piace che molta gente viva in una casa fatta da te. Anch’io vorrei vivere in una casa fatta da te.

Papà, vado a fare da cena. Sì… sììììì, lo faccio mangiare bene Simone. Ma son diventata brava a cucinare, sai? Faccio anche la sfoglia. Davvero, non ridere. No, non ci vengono i buchi. Anche la mamma non ci credeva invece ha dovuto ricredersi. Che dire ancora? Mi manchi. Ti penso sempre. Mi chiedo se ci sei, se mi guardi, se mi proteggi. E la risposta è che non lo saprò mai. Perché c’è quella cosa che non so se esiste dio. Comunque io in dio non ci credo. Però credo a una scrittrice che ha detto una cosa molto bella. A lei è morta una figlia di una brutta malattia e ha scritto un libro dedicandole una specie di lettera lunghissima.

Ecco, lei dice “non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo”. Papà, io e te staremo insieme per sempre.

[serendipity]

3 commenti:

jasna ha detto...

per ora riesco solo a dire: meravigliosa! ahhh sono riuscita a leggerlo tutto d'un fiato... con le lacrime ma tutto d'un fiato... l'amore con la A maiuscola quello che ti divora di emozioni e poi ti fa scoppiare il cuore in un balzo in avanti... grazie Gabry

Renata ha detto...

Sarà difficile leggere d'un fiato....era una sfida !

Come non coglierla? Ma ho anche riletto ed qualcosa è rimasto dentro di me. Grazie a questa donna spontanea e pulita.

Grazie e te Gabriele e - come dice una vecchia canzone
"Grazie alla vita che mi ha dato tanto
che mi ha dato il riso, che mi ha dato il pianto ....."

Luigina ha detto...

Io invece non ce l'ho fatta a leggere tutto d'un fiato, anzi ho cominciato a piangere prima, quando ti ho visto singhiozzare come un bambino. Veder piangere un uomo è abbastanza raro, ma non è un segno di debolezza. Anche in questo tuo pianto ho ritrovato mio padre. Credo prima d'ora di non averti mai visto piangere e ho capito che non ce l'avrei fatta a raccogliere questa sfida. Nel post di Serendipity mi sono ritrovata in più punti, dove ho lasciato che le lacrime scorressero irrefrenabili, forse perché non ho ancora metabolizzato la morte di mio padre. Ma è stato un pianto liberatorio, come non avevo ancora fatto in questi tre anni. Sì mi piace il blog anche per questa sua funzione catartica che ti dà la forza per ritrovare il punto di partenza dopo aver elaborato un lutto, un dolore, una difficoltà. Grazie Gabriele anche di questa lezione di vita